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Il mio nome è Pino Daniele e vivo qui, nuovo alubum di Pino

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stenoo
icon13  view post Posted on 14/2/2007, 14:27     +1   -1




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«Il mio nome è Pino Daniele e vivo qui». È questo il titolo del nuovo disco di Pino Daniele, presentato ieri a Roma. Un titolo che rivela forse l’unica «certezza» che il cantautore napoletano si sente di sottoscrivere, in un’epoca di generale disorientamento. «Canto e vivo alla giornata, la mia generazione ha creduto e ha lottato, ora è senza riferimenti», ha confessato Daniele in una intervista a cuore aperto. Con questo disco, l’artista napoletano celebra trent’anni di musica, un traguardo importante al culmine di un percorsdo cominciato nel 1977 con «Terra mia».

«Il mio nome è Pino Daniele e vivo qui». Ovvero «ricomincio da me, da quel poco che so ancora, da quel minimo di certezze che non ho ancora perso». Il mascalzone latino ha in bocca il sapore amaro di una vita che non capisce più, nonostante le felicità familiari: «Francesco ha un anno, ormai, sembro io alla sua età, cicciotto cicciotto. C’è una foto dell’epoca che lo dimostra, l’unica cosa che ho conservato del mio passato». È il paradosso di un artista nelle radio con il singolo «Back home» che parla di ritorno a casa, ma non vuole farsi imprigionare dalla nostalgia canaglia, dall’amarcord continuo: «Il mio primo lp, ”Terra mia”, è uscito nel 1977, trent’anni fa. Il nuovo, in fondo, gli è fedele: dentro ci sono melodie, blues più o meno latini, radici napoletane. Ma io sono diverso da allora e intorno a me il mondo è cambiato, anzi è crollato e così campo alla giornata. E faccio le cose che so fare, che amo fare - suonare e cantare - anche se a volte mi sento un pesce fuor d’acqua». Che cosa succede, Pino? «Succede che non mi adeguo, non mi tingo di nero i capelli bianchi, non faccio lifting, non inseguo le radio e le tv che non passano i miei pezzi, per le quali è reato usare il dialetto proprio ora che sto tornando ad usarlo, sia pure per testi più brevi del titolo. Succede che per qualcuno la parola ”cultura” è un reato e la musica un rumore di fondo, al massimo colonna sonora da spot. Succede che venivamo da lontano e non so se andremo lontano, che mi sento come mio nonna quando di fronte alla tv diceva di non capire i telefilm americani. Io sono un fan di ”Dr. House” e di ”24”, ma la società raccontata dai reality non la capisco. Comunque non è il mio mestiere, e allora suono». Forse è per questo che «Il mio nome...» bada più alle note che ai versi, che il suonautore prende il sopravvento sul cantautore? «Può essere. Uso parole semplici ma sincere, parlo d’amore, di quelle poche cose cui riesco ancora ad attaccarmi. Sono cresciuto con degli ideali, delle speranze. Qualcosa di buono l’abbiamo fatto, ora siamo senza punti di riferimento». Sfiducia nei giovani? «Come potrei esserlo con dei figli così piccoli ai quali affidare il mondo, da preparare al mondo? Ad esempio, ascolto con curiosità il pop americano che piace alle mie figlie, ci sono cose carine e altre no. Ma poi torno alla mia musica: jazz, blues, classica, canzone napoletana». A proposito, come sta la melodia partenopea? «Quella classica è nel dna di tutti, quella moderna tace. Io ho provato a trovare una strada contemporanea, nei due pezzi conclusivi di questo cd tento di nuovo, con le percussioni di Tony Esposito e l’elettronica di Fabio Massimo Colasanti. Uso le parole come suono, come slogan, sperimentando un’altra canzone vesuviana». Colleghi veraci da salvare? «Nino D'Angelo, grande cantante, artista partito dal basso, forse anche più di me, per arrivare in alto. Fa bene a lavorare su Viviani: i giovani non lo conoscono, stiamo perdendo la nostra cultura. Non serve ai signori del marketing». In questo cd c’è Esposito, in passato hai ritrovato Senese e Zurzolo. Del tuo mitico supergruppo manca all’appello solo la reunion con Amoruso e De Piscopo. «Non ci siamo mai più incontrati, né cercati. Le rimpatriate sono belle solo quando sono sincere». Napoli: è davvero la città-inferno? «No, si uccide a Milano e persino a Capo Verde. Ma Bassolino, dopo aver fatto cose egregie e impensabili, è spesso un uomo solo. Non ha eredi e non c’è più il quadro politico che consentì il ”rinascimento”: ora sono tornati i partiti». Il suono di «Back home» è pensato per le radio, l’album invece bada poco al pop. «Non criminalizzo la canzone commerciale, se mi viene va bene. Ma non la inseguo nemmeno, come il successo. Ci sono miei dischi che hanno venduto un milione di copie, altri sfortunati, almeno da questo punto di vista. Non creo a tavolino». Sanremo? «Ci sono già stato una volta come ospite e se Baudo mi chiama ci vado». «Il mio nome è...»: ma chi è oggi Pino Daniele. «Un uomo di 52 anni che non sa parlare l’inglese. Da bambino me ne vergognavo, oggi lo faccio studiare alle mie figlie, che vivono, e mangiano e ascoltano musica, in un mondo sempre più ”multiculturale”, parola molto più bella di ”globale”». E la politica? «Quale? Quella della crisi tra Silvio e Veronica?». A proposito: da che parte stai? «Non si può non stare con lei, non si può mai stare con Berlusconi». Il tour parte il 23 aprile dal teatro Politeama di Palermo. E sembra che Giorgia possa essere della partita. Ma non c'è una tappa campana. «Per Giorgia aspetto conferme. Per Napoli aspetto l’estate: c’è il solito problema degli spazi da risolvere e poi voglio festeggiare a casa questi miei primi 30 anni di musica».

Elogio della varietà. Se «Medina» era il disco africano di Pino Daniele, «Passi d’autore» quello neomadrigalista e «Iguana cafè» quello latino, «Il mio nome è Pino Daniele e vivo qui» parte cercando il consenso facile con «Back home», incipit alla «Baba O’ Riley» degli Who e chitarra che torna sugli accordi di «Sara», ma poi sfodera un catalogo di orizzonti sonori da album adulto, più attento al suono che al canto, ai sentimenti quotidiani del singolo che alle urgenze collettive. «Rhum and coca» è un viaggio cubano, «Mardi gras» un carnevale brasiliano diviso con Alfredo Paixao, e di Sudamerica sa anche «L’africano». Giorgia aggiunge il suo cesello a ballad eleganti e post-tenchiane come «Il giorno e la notte» e «Vento di passione», Peter Erskine è garanzia di estro e ritmo, Bob Sheppard sa come soffiare nel suo sax, «Il blues del peccatore» è una delizia acustica. «Ischia sole nascente» e «Passo napoletano» sono il ritorno a casa annunciato dal singolo, suoni new age, melodie elettroniche (occhio alla chitarra synth), «appucundrie» ritrovate come il vecchio amico Tony Esposito e parole-suono-slogan («Scetate», «Nun te scurdà»). La strofa simbolo del cd? «Salvami da ogni paura, da questa cultura, salvami dall’uomo bianco» («Salvami») Ricordate? «E chi dice che Masaniello poi nero non sia più bello»?

FONTE: IL MATTINO
 
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TROISI86
view post Posted on 14/2/2007, 21:10     +1   -1




PINO SEI IL PIU' GRANDE STUPENDA LA TUA INTERVISTA CHE HO LETTO OGGI SUL MATTINO CONDIVIDO TUTTO DALL' APPREZZAMENTO PER D' ANGELO FIN ANCHE IL NON NOMINARE QUEL BUFFONCIELLO DI D' ALESSIO CHE OSO' PRENDERTI IN GIRO DICENDO CHE LE TUE CANZONI NON ERANO PIU' DI MODA SPERO CHE QUESTO LAVORO SIA EMOZIONANTE COME GLI ALTRI ... MA DI QUESTO NE SONO SICURO PERCHE' NON FAI DISCHI SOLO PER MARKETING COME QUALCUN ' ALTRO CHE SI VA SPACCIANDO IN GIRO DI ESSERE IL SIMBOLO DI NAPOLI.... NAPULE MILLE CULURE SI SEMP O' MEGLIO PINU' :faccina139tr.gif: :faccina139tr.gif: :faccina139tr.gif: :faccina139tr.gif: :faccina139tr.gif: :faccina139tr.gif:
 
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1 replies since 14/2/2007, 14:27   112 views
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